lunedì 28 aprile 2014

Sono le 4.44. Lo so perchè se mi sveglio di notte ho l’abitudine di guardare l’orologio, e in genere mi ricordo l’ora per giorni e giorni. Se poi la somma dei numeri che compongono l’ora in cui mi sveglio porta 3 come risultato, allora penso che sará una giornata fortunata. 4 + 4 + 4 = 12, 1 + 2 = 3. Quello che arriva dovrebbe essere, quindi, un giorno ok. Strano, perchè proprio ok non mi sento. Mi guardo nello specchio dopo una pisciata monumentale e vedo che la mia faccia non è neanche troppo stravolta. Per forza, secondo il mio orologio interno è un quarto alle dieci; viaggio ancora con il fuso orario del Vietnam, e tornare a letto e dormire per lo meno fino alle sette sarà un bel problema. Cerco nella luce tenue dell’iPad (non ho acceso la luce, uso il tablet come torcia) tutto quello che riconosco come mio, lo spazzolino, lo specchio con una scheggiatura all’angolo destro, la finestra che non chiude bene, i calzini sporchi accanto alla porta. Sono a casa, ma questo non mi tranquillizza. Mi sento stranito. Domani, anzi, stamani, tra poche ore, la mia vita di sempre ricomincerá. Riconoscerò ogni punto di riferimento, e sarò in grado di valutare tempi e distanze; guidato dall’esperienza affronterò quella curva a destra e rallenterò in prossimitá dell’autovelox. A metá giornata mangerò alimenti che ho sempre mangiato, poi bollirò l’acqua e cuocerò gli spaghetti. Non ce la posso fare. Ricominciare come se non fosse successo niente è impossibile. In piccolo, mi sembra di vivere una perdita. Come quando si smette di fumare e ti accorgi che, Madonna, come ti manca quella sigaretta. Non è che ne hai voglia, non proprio, ne hai bisogno. Solo una manciata di ore sono passate da quando ho sceso la scaletta dell’aereo, e mi accorgo con rabbia (nei confronti di me stesso: cos’é che voglio di più?) ma non con sorpresa (ogni volta la sensazione è la stessa, anche se ogni volta è un po’ più forte) che ho giá voglia di risalirla, quella scaletta. Il mio pensiero è tutto per voi, adesso. Per voi, compagni di viaggio, quasi estranei, ma quasi amici. Io che avevo fatto del viaggiare il mio vangelo, e del viaggiare da solo il mio credo. Io che andavo orgoglioso dicendo che il viaggio va affrontato da soli, io che guardavo con spocchia i gruppi di amici che incontravo a diecimila miglia sopra l’oceano Indiano. Io adesso sento giá la vostra mancanza. Ogni volta che un’avventura di Hic Sunt Leones inizia la vivo come una cosa che devo fare mio malgrado; ogni volta che finisce la vivo come una perdita. Ogni volta mi dico che un gruppo fantastico così non ci sará mai più, e ogni volta il gruppo è un po’ più forte. Mi guardo intorno nei miei luoghi, nei miei spazi, e mi chiedo come sarebbe con tutti voi qui, giorno dopo giorno. Poi mi rispondo che voi fate parte solo di una fettina della mia vita, quella più saporita, ed è giusto così. Mi guardo intorno nei miei luoghi, nei miei spazi, e provo una sensazione di non appartenenza totale e definitiva. Mi guardo intorno nei miei luoghi, nei miei spazi, e vedo le mie cose, le cose più importanti della mia vita, che non sono cose, ma hanno nomi e cognomi, dormono nei loro letti, portano gli occhiali e mi fanno battere forte il cuore. Mi guardo intorno nei miei spazi, nei miei luoghi, e non vedo l’ora di ripartire, ma l’abbraccio delle me figlie non ha confronti. I Leones sono a casa. Alla prossima avventura. Un abbraccio ad Andrea, Leonardo, Daniele, Martina, Lorenzo, Marta, Mister x, Francesco e soprattutto Chiara.

India Moto Challenge Teaser 1